Cari Notters,
Oggi vi racconto il libro che ha accompagnato la mia settimana.
Un libro che mi ha coccolata, che mi ha trasportata agli inizi degli anni ’90, un libro che con me ha funzionato come una macchina del tempo, regalandomi emozioni.
Un libro che, fa pensare e riflettere sulle proprie origine, sulla propria famiglia.
Un libro che consiglio di leggere a chi, come me, ama ricordare.
TITOLO: Una vita non basta
AUTRICE: Giada Baretta
EDITORE: Edificare Universi
GENERE: Narrativa Italiana
FORMATO: Cartaceo/E-book
PAGINE: 184
PREZZO: 14,90€ / 5,49 €
SINOSSI
Rebecca è una ragazza di diciotto anni. Un giorno, nella soffitta della prozia, riscopre una fotografia, dei vestiti, dei gioielli e dei manoscritti appartenuti alla nonna che non ha mai conosciuto. Un tesoro di inestimabile valore sentimentale che la porta a domandarsi quale segreto si celasse dietro gli occhi tristi di quella donna, sempre descritta nei racconti come gioviale e forte. La storia di Rebecca, Mara e Gianna, finisce senza finire. Perché esistono storie che il fato ha timore di troncare. Il loro unico destino è di non averne alcuno, se non quello di non morire mai. Tre generazioni di donne legate indissolubilmente da un affetto senza pari e da un futuro che sembra troppo simile. Un romanzo delicato, intimo e commovente.
RECENSIONE
“Penso che Viaggiare sia Conoscenza, Conoscenza sia Cultura, Cultura sia Rispetto.
Penso che dovremmo viaggiare tutti un po’ di più.”
Cit. Steve McCurry
Un aforisma, a mio parere, perfetto per cominciare a raccontarvi “Una vita non basta” perché questo libro è un viaggio.
Un viaggio nei ricordi, un viaggio nel passato e anche nel futuro, un viaggio nei vissuti degli altri, un viaggio che porta con se milioni di emozioni diverse.
È la storia di Rebecca, Mara e Gianna.
Tre protagoniste diverse ma collegate tra loro da un legame invisibile ed indissolubile che mai niente e nessuno potrà scalfire.
Non sono legate tra loro solamente dalla parentela, solamente dal sangue… Tra loro c’è di più, c’è un vissuto che condividono tutto da scoprire.
Rebecca è un’atipica ragazza di diciotto anni: non veste alla moda, non le piace andare a ballare, non le piace ubriacarsi o “sballarsi”, non le piacciono le vacanze natalizie e quelle estive perché la obbligano a stare a casa da scuola, il luogo in cui si sente più a suo agio, più al sicuro, più se stessa.
Al contrario, ama passare i week-end chiusa in camera a leggere libri e guardare vecchi film in bianco e nero, e ama scrivere.
Ama scrivere le proprie emozioni, i propri sentimenti; Rebecca scrive di cuore.
Ha una famiglia numerosa: mamma, papà, fratelli, nonni, zii e anche il cane; ma è proprio vero che “famiglia è dove ti senti a casa”… E, nonostante l’unica persona in famiglia a cui Rebecca sia veramente legata sia sua madre Mara, c’è solo un posto, solo un luogo dove Rebecca si sente così: a casa di Albina, la donna che lei chiama “nonna”, anche se è una zia lontana.
Ed è proprio qui che comincia il viaggio di Rebecca…
Rebecca salì in soffitta in cerca di torce e candele, per non farsi cogliere impreparata da un possibile blackout. Non era mai stata lassù. Il nonno, quando era piccola, le mostrava l’anulare mozzato spiegandole che in soffitta viveva un lupo. Aveva sempre creduto in quella storia, e non aveva mai voluto metterci piede. Ma quel pomeriggio i nonni dormivano, nessun altro poteva salirvi; e poi, non aveva più cinque anni, ne aveva compiuti diciotto la settimana precedente. Raggiunse lo stanzino dietro al bagno, aprì la botola e ne tirò giù una stretta scala a pioli. Vi si arrampicò titubante, immergendosi sempre più in quel buio sconosciuto. Appena le fu possibile schiacciò l’interruttore e accese la luce. […] Sospirò, abbandonò l’angolino dell’oblò e sedette su di una vecchia cassapanca. Non appena il suo corpo si appoggiò sul legno, la cassapanca gemette come se le avesse fatto male. Si alzò svelta, la guardò come si può guardare una creatura indifesa alla quale si è appena fatto, involontariamente, del male. L’accarezzò dolcemente, per farsi perdonare, passò le dita sopra alle macchie nere di qualche bruciatura che si confondevano con le opere di eccelsi ed annoiati tarli. Poi fu colta dalla curiosità e sollevò il coperchio.
Proprio li, proprio in quel momento, proprio dentro quella cassapanca Rebecca avverte una sensazione, avverte qualcosa di familiare…
La cassapanca era così colma che alcuni oggetti balzarono fuori. Come avevano fatto a chiuderla, piena com’era? Ricaddero sul parquet alcuni fogli, una fotografia e una sciarpina marrone, rimasta incompiuta per trent’anni, ancora saldamente annodata ai ferri arrugginiti. Sbirciò all’interno e trovò vestiti da donna, cappottini, cappelli, scarpe, foulard, un portagioie, un quaderno arancione leggermente consunto, una vecchia Olivetti rossa, una stilografica nera, una scatola di fiammiferi e un pacchetto di Kim. Estrasse una sigaretta dal pacchetto, la portò piano alla bocca e attinse al fuoco della candela. Doveva trattarla con delicatezza, era così vecchia che quasi le si sbriciolava in mano. Aveva un sapore diverso dalle sigarette che fumava lei, eppure la marca era la stessa. Sapeva di passato, aveva tutto il sapore del passato che ritorna. Soffiò una boccata di fumo verso l’alto, ne soffiò una seconda, poi una terza. Ad ogni tiro si sentiva rinvenire, rinascere.
È in quel preciso istante che Rebecca capisce. Capisce che la donna della foto ha un legame con lei, che non sono poi tanto diverse, capisce che come c’è un presente c’è anche un passato e che quest’ultimo non chiede mai il permesso per fare capolino tra i tuoi ricordo, non bussa mai… Invece, entra prepotente senza chiedere il permesso.
Quella donna in foto è Gianna, la nonna di Rebecca.
Spense il mozzicone intingendolo nella cera bollente della candela e prese in mano la fotografia cadutale addosso pochi istanti prima. C’era una donna dal sorriso trasognante, dagli zigomi pronunciati e rotondi, dalla carnagione pallida e apparentemente arrossata sulle gote, dai lunghi capelli mossi e scuri che le ricadevano sul collo nudo, seguendo la linea della clavicola, dallo sguardo melanconico e lontano; una mano avvicinava alle labbra il calice di vino, l’altra sorreggeva il viso piegato un po’ di lato, il gomito del braccio poggiava su un tavolino di vetro e la donna sedeva su di una sedia in vimini, con un vestito dalla gonna larghissima lunga fino alle caviglie, smanicato, stretto in vita e ricamato in pizzo sul petto. L’immagine era in bianco e nero, ma il vestito era sicuramente rosso. Le gambe dolcemente accavallate, una rosa appuntata tra i capelli e una perla brillante al lobo dell’orecchio. Era una bellissima donna, giovane, dall’aria affascinante e un po’ misteriosa.
Vestiti, quaderni, foto, sigarette, sono solo l’inizio per Rebecca. Sono solo il primo spunto da cui cominciare per conoscere veramente sua nonna.
Si sente inspiegabilmente legata a quella donna e non perché sia sua nonna… Rebecca sente che c’è dell’altro, sente che è arrivato il momento di dare risposte ai suoi perché, di capire perché si sente sempre nel luogo e nel momento sbagliato, perché sente sempre di appartenere ad un’epoca che non è sua.
Questo è un libro che crea magie: qui, come in Mary Poppins, un oggetto nasconde un intero mondo… Ma non si tratta di una borsa, bensì di una cassapanca.
Un oggetto che racchiude una realtà lontana che lega tre generazioni diverse: Rebecca, Mara e Gianna.
Inutile dirvi che questa lettura è stata per me una scoperta.
Nonostante io non sia un’amante di questo genere, fin dalle prima pagine ho capito che questo era un libro che andava letto con cautela e con attenzione, ho capito che andava trattato coi guanti.
Giada ci regala una lettura affascinante, intrigante e sorprendente utilizzando uno stile che mi ha conquistata… Ho subito pensato “cavolo, questa scrittrice scrive veramente benissimo!”.
Sia che si tratti di una foglia, che si tratti di un ricordo, di una vita, Giada ce lo descrive in maniera talmente vivida e nitida da poterlo vedere e sentire in quel preciso momento ovunque il lettore si trovi. E lo vive. Lo vive da spettatore ma anche in prima persona, un po come fosse un film in 3D.
Perché questa, in fin dei conti, potrebbe essere la storia di molti.
Ed è proprio per questo che, anche a chi non ama il genere, regala emozioni (non vi nego che ho quasi rischiato il pianto sul finale).
Se posso permettermi di fare critiche, per questo libri affascinante ne avrei solamente una: avrei preferito qualche dialogo in più, per il resto… LEGGETELO! 😉
Edna.